Bona con sta gnola!

Bona con sta gnola!

“Fare la gnola” era il modo bolognese di bollare chi si lamentava senza tregua: bastava un «Dai mò, piantala di gnolare!» per troncare sul nascere l’alluvione di lamentele, dal compagno di classe in crisi per un’interrogazione al collega che rimuginava sui turni. La sostantivazione “gnola” indicava proprio la lagna: «Bona con sta gnola!» era il richiamo affettuosamente secco che una mamma riservava al figlio piccolo in modalità frignona.

L’espressione funzionava in ogni ambiente. Chi partiva con la tiritera trovava subito qualcuno pronto a fermarlo con «Non fare sta gnola!», formula perentoria ma priva di volgarità. Il verbo gnolare rinforzava l’idea di un lamento stridulo e continuo, quasi un verso di animale annoiato, così radicato che non servivano altre spiegazioni.

Antropologicamente, “gnola” svolgeva la funzione di mantenere l’equilibrio emotivo della balotta: denunciava la deriva vittimista e invitava a rientrare in un registro di resilienza condivisa. Chi veniva accusato di gnolare capiva di star oltrepassando la soglia di sopportazione collettiva e – in genere – si ricomponeva. In questo modo, la parola serviva a preservare la convivialità del gruppo, ricordando che la protesta è legittima solo finché non diventa sottofondo permanente.

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