Non fare lo spanizzo!

Non fare lo spanizzo!

“Spanizzo” nella Bologna degli anni ’90 non era un semplice esibizionismo, ma il segno di un carisma collettivo: chi osava con generosità – offrendo un giro di birre o proponendo un brindisi improvvisato – animava le serate nei bar sotto le Due Torri o nelle feste private, tessendo relazioni anziché interromperle con la pura ostentazione dello “sborone”. L’esclamazione “Fai lo spanizzo!” non celebrava il lusso del gesto, ma la capacità di trasformarlo in occasione di condivisione e complicità reciproca.

Il vero spanizzo si distingueva non per la quantità o il costo dell’offerta, ma per il modo in cui la propria azione veniva percepita: un invito a partecipare, un ponte gettato verso chi stava in disparte. Mentre lo “sborone” puntava sull’autoproclamazione del proprio prestigio, lo spanizzo creava un rituale inclusivo, in cui ogni bicchiere consegnato diventava veicolo di appartenenza e riconoscimento sociale.

Sul piano antropologico, lo spanizzo incarnava un bisogno di convivialità in cui l’audacia non era fine a sé stessa, ma mezzo per rafforzare legami. Offrire da bere a vicenda significa giocare un atto di fiducia: ci si assumeva il rischio di immersione nella folla, certi però che il gesto avrebbe generato reciprocità. È attraverso questa pratica che una generazione costruiva il proprio tessuto sociale, imparando a misurare il proprio valore non in solitaria, ma nella capacità di far sentire “parte” chiunque si trovasse accanto.

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