A Bologna la sigaretta si riassume in una sola parola, “paglia”. Chi ne è rimasto senza alza lo sguardo e chiede: «Regaz, avete una paglia?». Il termine, sottile come il cilindro di tabacco che descrive, vale da lasciapassare: riduce la distanza tra tavoli vicini e inaugura il piccolo baratto di nicotina e chiacchiere.
Il lessico vive di tante nuance: fra amici basta un «Passami una paglia», lo sconosciuto preferisce «Mi offri una paglia?», mentre chi ha finito l’ultimo tiro annuncia «Ragazzi, zero paglie: vado a comprarle». Non c’è contesto che la escluda—locali, cortili universitari, feste all’aperto—e continua a reggere, equivalente emiliano‐romagnolo di “cicca” o “bionda” usati altrove.
Antropologicamente, la richiesta di una paglia è un micro-rituale che spezza il ghiaccio, allenta la timidezza e stringe complicità momentanee. Offrirne una significa condividere una pausa, concedere un pezzo della propria riserva e accogliere l’altro nel cerchio di fiato e fumo. Così, in una città dove le sigarette si accendono ancora sotto i portici fra piccoli gruppi in chiacchiera, la paglia resta una minuscola valuta relazionale: un cilindro di tabacco in cambio di un sorriso e di qualche parola scambiata all’angolo del bancone.