Oh, l'hai fatta la pilla!?

Oh, l'hai fatta la pilla!?

“Pilla”, insieme alla variante “fresca”, era la parola-chiave per indicare il denaro nella Bologna anni Novanta: non il contante spicciolo, ma quel capitale vistoso che permetteva di sfilare davanti al locale con l’ultima spider e la ragazza di turno. L’esclamazione «Luilì sì che ha della gran pilla!» rendeva chiaro a tutti il peso delle disponibilità familiari, mentre locuzioni come «Ci vuole della pilla» o «Tira fuori la fresca!» scandivano i momenti in cui il gruppo doveva passare dal chiacchierare al pagare.

L’uso di “pilla” serviva soprattutto a marcare lo status: chi «aveva fatto la pilla» poteva permettersi gadget tecnologici, vacanze esotiche o giri in fuoriserie, diventando punto di riferimento (o bersaglio d’invidia) nell’economia simbolica del sabato sera. Il termine circolava anche in negativo, per stigmatizzare chi ostentava ricchezza non propria: «Bella vetrina, ma il portafoglio è quello di papà» era la stoccata che riportava sulla terra gli aspiranti figli di papà.

Dal punto di vista antropologico, “pilla” e “fresca” raccontano un linguaggio in cui il denaro non è solo mezzo di scambio, ma dispositivo di riconoscimento sociale. Il possesso – o la finzione del possesso – di pilla definiva gerarchie dentro la “balotta”, regolava inviti, ingressi VIP e turni di consumazioni, diventando cartina di tornasole di valori come successo, autonomia e appartenenza. In questo dialetto urbano, i soldi erano narrati più che contati: nominare la pilla significava dar forma a una storia condivisa di ambizioni, sogni e competizione che ancora oggi riecheggia nei ricordi di quella generazione.

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