oh ma che pluma c'hai!?

oh ma che pluma c'hai!?

“Pluma” nella Bologna anni Novanta era il modo bonario di punzecchiare l’amico che, al momento di pagare, faceva il vago: richiamava l’immagine di tasche piene solo di piume, leggere come l’aria e vuote di contanti. Il vezzeggiativo “plumone” accentuava la scherzosità del rimprovero, trasformando il presunto tirchio in personaggio quasi affettuoso più che biasimato.

Il gemello lessicale, “avér la rèna”, indicava prima di tutto chi era davvero al verde: la rana – e il suo verde – richiamava visivamente la condizione di “essere al verde”. In chiave ironica poteva alludere a chi progettava serate o acquisti sopra le proprie possibilità, ma il nucleo restava la mancanza effettiva di denaro. Un “Oggi ho la rèna” bastava a giustificare l’assenza all’aperitivo, con un sorriso di comprensione da parte del gruppo.

Sul piano antropologico, pluma e rana agivano come regolatori di reciprocità: etichette leggere che ricordavano a tutti l’importanza di contribuire, senza però rompere la coesione. Con una battuta si segnalava l’obbligo morale di offrire il prossimo giro o, almeno, di non approfittare eccessivamente degli altri. In questo modo, il denaro diventava pretesto per riaffermare legami di fiducia: la solidarietà del gruppo passava anche dall’accettare l’ironia – e dal sapere, la volta successiva, di rimediare.

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