La “broda” – detta anche “benza” – era il vero sangue dei pomeriggi bolognesi su due ruote: senza di lei, il “ferro” (motorino o auto) restava fermo, e la balotta finiva a spingere. «Ho la spia accesa, devo fare broda!» gridava il ragazzo quando la lancetta toccava la riserva; poco dopo si infilava nella prima stazione per una spruzzata di miscela 2 % olio, profumo inconfondibile di libertà adolescenziale.
Il termine viveva di piccole formule: «Sei senza broda, rassegnati» per canzonare l’amico rimasto a secco; «Metti un po’ di benza e poi partiamo» quando la partenza tardava. L’abbreviazione nazionale “benza” circolava, ma “broda” conservava una coloritura dialettale che evocava mani unte e serbatoi minimal, lontanissimi dai pieni d’autostrada dei fratelli maggiori.
Antropologicamente, la broda segnava il confine fra autonomia e stallo: possederla significava avere margine di movimento, potersi spostare verso altri ritrovi, prolungare la notte. Restarne privi equivaleva a tagliarsi fuori dal flusso della balotta, costretti a chiedere un passaggio o a rimandare i piani. Così la parola, semplice come un ronzio di pompa, diventava promemoria di responsabilità – perché la sera, senza broda, la festa non parte nemmeno.